Mi è capitato l’anno scorso di difendere un mio cliente da un reato piuttosto spigoloso e pieno di insidie (naturalmente parlo sul piano legale della difesa) presso la Corte di Assise di Venezia.
Mi stavo organizzando ben benino per il viaggio e per il soggiorno già pregustandomi un periodo abbastanza lungo da solo, quando Marta mi dice che, trattandosi di Venezia, vuole venire anche lei e, poiché non sopporta gli arei ed a me non piacciono i treni, haimé mi tocca un viaggio in macchina.
Ho cercato disperatamente di dissuaderla, ho telefonato ad alcune sue amiche perché le trovassero qualcosa da fare qui: macché tutto inutile. Testarda ed irremovibile.
– Tanto caro ho organizzato tutto io, staremo da quei tuoi cugini a Padova, tu potrati andare in tribunale ed io sarò in compagnia di care amiche – cugine che non vedevo da una vita.
Come al solito il diavolo fa le pentole ma non i coperchi, per cui, ormai rassegnato, chiamai il meccanico e feci dare una controllata alla macchina grande che uso soltanto una o due volte l’anno.
L’indomani mattina si parte: valigia grande, piccola, media, minuscola, beauty case, valigetta, valigiona, insomma sembrava che a Marta fosse venuta la sindrome del traslocatore. Meno male che il cofano della mia macchina è molto capiente.
Durante il viaggio si parlucchia del più e del meno ma ogni tanto la osservo per come è vestita e per come è, e nonostante i 35 anni di matrimonio ne sono ancora innamorato, oltre ad esserne ingrifato per via di quei suoi eleganti vestiti leggerissimi e svolazzanti con scollature vertiginose sopra due tette marmoree a dispetto dell’età e della quinta misura.
Il viaggio fila liscio nel silenzio della mia vecchia e gloriosa auto da viaggio (o da parata come dice mia figlia) e con le note di un concerto di Corelli (a me fa impazzire la musica classica e l’ascolto sempre).
Però adesso si deve far pipì, prendere un caffè, i giornali, fumarsi una sigaretta (in auto è vietato).
Arriviamo in una bella stazione di servizio dalle parti di San Benedetto del Tronto, scendiamo dall’auto andiamo al bar, caffè, giornali, sigarette e pipì. Ma mentre sto andando in bagno noto un signore, ben vestito, più basso e più magro di me, con un cappello bianco che ronza intorno a Marta e lei lo lascia ronzare, finquando vedo che il tizio le si para di fronte si toglie il cappello e le bacia la mano. Nel frattempo per vedere dove la cosa andava a parare stavo per farmi pipì addosso, per cui fui costretto ad abbandonare la scena.
Al mio ritorno Marta non c’era più e nemmeno il tizio col cappello bianco: automaticamente mi si rizzò l’uccello, manco fosse l’attrezzo di un rabdomante, già immaginando con quella scollatura cosa potesse star combinando.
Mi diressi al parcheggio vicino alla mia auto e nel tergicristallo trovai un bigliettino che diceva: “Sono nel boschetto a far due passi con un amico”.
Il mio uccello divenne un uccello da tiro e mi tirò di corsa nel bosco di pini dove, dietro un cespuglio c’era Marta, completamente nuda e quel tizio che si faceva una ricca spagnola tra le tette di Marta.
Appena Marta mi vide mi invitò ad unirmi a loro ma stranamente preferii stare a guardare come quel tizio così “perbene” si stava scopando mia moglie e lei le offriva tutti i suoi orifizi ormai sbrodolanti di umori, prendendola da dietro e lasciandole pendere e ballonzolare le tette ad ogni colpo inferto e che Marta assecondava con i suoi movimenti.
La scena era così eccitante che dovetti tirar fuori l’uccello dai pantaloni e sborrare senza che mi fossi toccato per nulla.
Dopo che Marta e lo sconosciuto terminarono il loro amplesso con un bocchino che così non ne aveva mai fatti a me, ricomposti i fedrigrafi si passò alle presentazioni, per cui il signor cappello bianco era un architetto convocato (da me) quale testimone nel mio stesso processo presso la Corte di Assise di Venezia.