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Etero

Amori vacanzieri

Ero in vacanza con gli amici in un villaggio. Avevo ventidue anni. Allora ero un novellino del sesso: avevo avuto pochissime esperienze, ero quasi vergine, si potrebbe dire.
Un pomeriggio tornai nell’appartamento, mi feci la doccia e mi lavai la maglietta di Gerrard che avevo indossato per giocare a calcetto. Uscii sul terrazzino per stenderla e la vidi per la prima volta, sul balcone della sua stanza, nella palazzina dirimpetto a quella dov’ero io.
Barbara era su per giù una mia coetanea, aveva un viso delicato e al contempo era spregiudicata: mi adocchiava con insistenza. Io ero timido, ma ero in vacanza ed ero parecchio disteso. Non fu difficile, insomma, sorriderle dolcemente.
Continuai a fare quel che dovevo con i panni e quant’altro e il gioco proseguì: sguardi teneri o ammiccanti, a volte spiritosi, con qualche risata. Finché lei non mi fece un gesto: voleva incontrarmi. Io accettai facendo “sì” con la testa: era lontana, non potevamo parlare.
Tre minuti più tardi ero con lei nel cortile, imbarazzatissimo ma subito burlone, a modo mio. Ci mettemmo d’accordo per vederci dopo cena.

Barbara si presentò in orario all’appuntamento. La serata fu molto gradevole. C’era intesa, ci piacevamo molto. Lei fu anche un po’ sfrontata, o forse semplicemente sincera, poiché mi disse che adorava fare sesso. Non era fidanzata, ma era uscita da poco da una storia in cui proprio la fisicità era l’aspetto preponderante. La sua ammissione mi eccitava e al contempo mi riempiva di insicurezze: ero molto inesperto e non mi sentivo all’altezza.
A notte inoltrata, poco prima di rincasare, stavamo chiacchierando seduti su un muretto. Ero dietro a Barbara, che mi si appoggiava addosso. Avevo voglia di lei da impazzire, il suo corpo filiforme e la sua pelle calda mi mandava in estasi. La strinsi a me tenendole le mani sulla pancia.
La sera successiva ci divertimmo parecchio. Bevemmo entrambi un po’: c’era una festa alla piscina del villaggio turistico. Eravamo brilli, avevamo tanta voglia di stare insieme, infatti quando le luci si spensero noi restammo in piedi. Sopra al bar della piscina c’era una terrazza ampia, sotto al cielo stellato. Fu lì che ci baciammo per la prima volta. La sua bocca era morbida, bollente: i nostri corpi erano in perfetta sintonia, sembravano fondersi, erano fatti per amarsi, per stare vicini. Era tardissimo ormai, la notte stava finendo. Ignari di questo, con la luna a guardarci, le nostre bocche impazzite continuarono ad avvolgersi, senza tregua. Era tutto spontaneo, vero, naturale. Tanto che a un certo punto, con nonchalance, le dissi:
“Io mi sa che metto questo”. Le mostrai un preservativo.
Lei aveva una voglia matta di me. Tirai fuori il pene, dritto come una spada, mentre lei calò la gonnellina e le mutande.
Le chiesi se poteva estrarre il gommino perché ero poco pratico. Come lo afferrò, io le poggiai le dita sulla vagina. Era totalmente zuppa, non ho più sentito in tutta la mia vita una micia più calda e bagnata di quella.
La mia mano la faceva tremare, gocciolava sempre di più. Faticò a liberare il profilattico dalla bustina e me lo diede. Lo sistemai con cura e dopo un attimo mi salì sopra. Era una donna passionale, fantastica, la sua passera era rovente. La strusciava con sapienza, avanti e indietro, su e giù, era così brava che sembrava quasi un pompino. Con pochi movimenti, contrasse l’addome, stava venendo zampillando il suo ardore sul mio pube e sulle palle. Arrivò il suo orgasmo e mi strinse il viso sul petto; io rimasi tra le sue tette un po’ sudate mentre sussultai, sparando il mio seme nell’involucro di lattice.
All’arrivo della luce ci rivestimmo, felici. Sembrava potessimo addirittura innamoraci con pochi incontri, per quanto era perfetta quell’unione. Ci salutammo per andare a dormire con un bacio lungo, soffice.

Al risveglio, impaurito e insicuro, mi ritirai nel mio guscio. Temevo che non avrei potuto riproporre la performance della notte appena trascorsa. Ormai l’avevo posseduta, e sicuramente si sarebbe ripresentata l’occasione per fare l’amore. Nervoso, un po’ sofferente per le poche ore di sonno, lamentavo un mal di testa da capogiro. Decisi allora di restarmene in camera.
I miei amici vollero sapere l’accaduto, e io raccontai loro tutto quanto. Cercarono di spingermi fuori dall’appartamento per farmi affrontare la ragazza e superare le mie angosce. Io non volevo saperne: non volevo fare brutta figura e stupidamente ignoravo la naturalezza con la quale tutto era avvenuto.
Le mie fobie vinsero: non uscii. I miei compagni di vacanza se ne andarono al mare.
A un tratto, un suono spezzò il silenzio. Era il campanello. Immobile per non far rumore, finsi di non esistere. Poi udii la voce di Barbara:
“Lo so che sei lì dentro, ho appena parlato con i tuoi amici.”
Imbarazzato e stizzito, dissi:
“Un secondo, arrivo”.
Corsi al bagno, mi sciacquai la faccia. Fortuna che mi ero già lavato i denti.
Aprii l’uscio e lei era lì. Era bella e dolce, capii che non era venuta per mangiarmi o giudicarmi. Mi chiese se stavo bene e io le spiegai che avevo una brutta cefalea. Mi fece mettere al letto, si sedette sul ciglio e mi coccolò un po’.
Inaspettatamente, nella tranquillità tenera, la spinta del desiderio venne proprio da me: le toccai la passera da sopra al costume. Lei mi spinse la mano all’interno. Era di nuovo madida. Iniziò ad ansimare e non potei resistere: la buttai giù, distesa con la schiena sul letto, mi calai il costume e cominciai a penetrarla con vigore, facendo ballare il materasso e scricchiolare le molle. Le strinsi il clitoride fra le dita mentre la possedevo. Lei ansimò forte fino a contorcersi in un orgasmo profondo, che fece venire anche me.

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